Quando il bambino viene al mondo, nasce con un corredo emotivo innato, sperimentando, sin dal primo giorno le emozioni primarie, già scritte dentro di sé, che il suo corpo registra in relazione agli stimoli che gli provengono dalle situazioni in cui è coinvolto e che vive e che portano a generare modificazioni somatiche e modalità espressive che le rendono visibili e condivisibili con chi gli sta
accanto.
Il corpo vive e sente la paura, la gioia, la rabbia e modifica le espressioni del volto comunicando ciò che sta provando e sentendo ad un’altra persona e, per il bambino, questa persona è, quasi sempre, la figura della madre e del padre, coloro che ci sono quando l’emozione “prende vita e forma”.
Sono proprio i genitori, con le loro interazioni, con ciò che dicono e ciò che fanno, a fornirgli una competenza emotiva, a dotarlo di un’educazione che, in età evolutiva, si struttura, organizza e sviluppa e che, poi, durerà per tutta la vita: questo, forse, il compito più arduo per i genitori.
Spesso, è il pianto la procedura non verbale che il neonato, nei primi giorni, settimane, mesi di vita,ha per comunicare la variazione del proprio stato emotivo, l’unica possibilità che possiede per rendere visibile la presenza di una emozione che sente accendersi nel proprio corpo.
Il bambino sente le emozioni, le comunica in modo spontaneo e regolato; compito dell’adulto è quello di intercettare la regolazione emotiva del bambino, cercare di comprenderne il senso e trasformarla in gesti e parole finalizzate a promuovere una risoluzione dello stato emotivo che si è attivato e che,il bambino, da solo, non sa, invece come gestire.
Il genitore deve, quindi, attivare una sorta di sintonizzazione emotiva per fornire strumenti, costruire e stabilire una buona relazione che promuova la consapevolezza e un’adeguata alfabetizzazione emotiva.
Attraverso questo meccanismo il bambino conquista un’esperienza di appagamento e soddisfazione che lascia nel corpo la percezione chiara che il suo stato di s-regolazione emotiva è stato risolto grazie all’intervento competente dell’adulto; questo comporta che il bambino apprenda progressivamente, sul campo, come le emozioni nascono e si fanno sentire dentro di lui, imparando a riconoscerle (in modo spontaneo) e, quindi, a gestirle , anche autonomamente, senza il costante e continuo intervento di regolazione da parte dell’adulto.
Una buona competenza emotiva permette al bambino prima e, all’adolescente poi, di godere appieno delle proprie relazioni sociali, di esplorare con auto-consapevolezza e fiducia le prospettive che il futuro ha da offrirgli e dedicarsi con serenità ai compiti di apprendimento.
Un genitore, convinto dell’importanza dell’educazione di un figlio, ha, perciò, la possibilità di indirizzare la stessa in una prospettiva funzionale e armonica con il percorso di crescita e i suoi compiti di sviluppo.
Le funzioni che un genitore gestisce sono da una parte quelle di cura e accudimento (funzioni di HANDILING) e dall’altra quelle di contenimento e supporto autorevole (funzioni di HOLDING).
Quindi, la relazione che un adulto attiva nei confronti di un bambino è connotata sia da gesti orientati a specifici obiettivi, quali il nutrire, addormentare, il prendersi cura dell’igiene, ma, allo stesso tempo, attraverso questi gesti il genitore costruisce una relazione intima e profonda con l’essere di cui si prende cura.
Per questo motivo, HANDILING e HOLDING si mescolano insieme generando l’unicità e la specificità della relazione intima e speciale che unisce l’adulto al bambino.
Questa “contaminazione” non è sempre automatico che avvenga, perché per alcuni genitori non è così facile riuscire ad assolvere insieme alle due funzioni in modo efficace e, quindi, ad “allenare” il figlio dal punto di vista dell’intelligenza emotiva.
Per questo motivo, sarebbe auspicabile che le figure adulte che si accingono alla genitorialità riconoscano le tracce relazionali della propria autobiografia personale legate ad esperienze vissute nella prima e seconda infanzia, perché esse potrebbero avere “lasciato un segno” e se non rielaborate nella giusta prospettiva essere rimesse al centro dell’esperienza con il figlio, inficiando il suo processo
di crescita emotiva.
Inoltre, in una società altamente competitiva e centrata sull’azione e sulla prestazione, molti adulti sembrano aver perso l’adeguata capacità e sensibilità per favorire nel bambino l’espressione dei propri stati emotivi.
Sempre più spesso si chiede al bambino di essere abile in attività prestazioni e performative lasciando poco spazio per ciò che vuole, che prova e che sente.
Il genitore è, per eccellenza, “allenatore” emotivo di un figlio, l’elemento di riferimento fondamentale.
L’adulto rappresenta una sorta di modeling importante che durerà per tutta la vita: così come gli stati emotivi del bambino attivano risposte emotive nell’adulto che dovrebbero risultare integrate e complementari, anche gli stati emotivi dell’adulto ne attivano di simili nel bambino che, fin dai primi
momenti di vita, li regola in funzione di quelli del caregiver che si occupa di lui.
Per un genitore diviene, perciò, fondamentale saper agire e gestire un buon controllo sui propri stati emotivi, facendo tesoro anche delle esperienze di validazione emotiva di cui esso è stato, nel suo percorso di vita, protagonista con la consapevolezza che attraverso il suo imprinting ogni esperienza potrà essere vissuta con serenità e positività dal proprio bambino.
Stefania Bessi
Dott.ssa Stefania Bessi - Pedagogista V.O. con indirizzo per Educatore Professionale Extrascolastico, Pedagogista Clinica, Esperta dei processi di sviluppo umano e di aiuto allo sviluppo, Libera professionista in attività di consulenza pedagogica, formazione e progettazione pedagogica (con formazione specifica nel campo delle disabilità intellettive e dei disturbi dello spettro autistico), Cultore della materia presso l’Università Cattolica per la cattedra di Neuropsichiatria infantile, Docente presso il Centro Psico-Pedagogico Kromata, Facilitatore in gruppi di auto-mutuo aiuto.