Il mio viaggio professionale in questi anni mi ha portato in più di una occasione a confrontarmi con la realtà della sindrome autistica prevalentemente con minori, ma mi mancava qualcosa. Quando i bimbi con spettro diventano grandi che accade loro? Guariscono magicamante al compimento della maggiore età , o qualcos'altro li attende? Mossa da questo desiderio di approfondire la tematica quando mi è stato chiesto quale sarebbe stato l'argomento da approndire in sede di master non ho avuto dubbi e ho pensato agli adulti con sindrome autistica. Mi si è offerta la possibilità di svolgere il periodo di stage presso Rossonano, una struttura residenziale per disabili adulti in quel di Mantova al cui interno sono previsti due nuclei: uno per soggetti con disagi psichici, l'altro per persone adulte con sindrome autistica.
Già in passato avevo avuto modo di relazionarmi con bimbi con sindrome autistica e ora come allora rimango convinta che per meglio capire questo mondo misterioso fatto di detto e non detto sia necessario lasciarsi guidare dagli stessi ragazzi che in qualche modo se vogliono sanno comunicarci sempre qualcosa e ci guidano nel loro mondo. Anni fa, al mio ingresso come tirocinante in una struttura riabilitativo per minori in quel di Mantova fui inserita in una classe mista dove tra le varie disabilità presenti vi era anche un preadolescente autistico. Timorosa ma anche incuriosita da questa nuova realtà rimasi in un angolo della stanza, memore anche di quanto il professore di pedagogia speciale ci disse: «...i ragazzi con queste problematiche non accettano facilmente i cambiamenti o le intrusioni nel loro ambiente perché cambiano il loro equilibrio». Rimasi, allora, in atteggiamento di osservazione e attesa. Improvvisamente fu lui, A. che mi venne incontro, mi prese le mani e cominciò a giocare con esse cercando anche il mio sguardo. Stupita, e non sapendo cosa fare per non urtare la sensibilità rimasi immobile e dopo aver guardato l'educatrice di riferimento che mi diede coraggio e mi fece cenno di provare ad interagire con lui, mi lasciai guidare e iniziammo a entrare in contatto… Tutti i giorni, il mio tirocinio durò quasi due mesi, ebbi modo di
relazionarmi ad A. e ogni giorno scoprivo un lato nuovo di lui riuscendo anche ad incrociare per più volte il suo sguardo.
Da quella prima esperienza ho avuto modo di relazionarmi con altri minori con sindrome ma, come dicevo all'inizio di questa riflessione, un'esperienza forte è stata con gli adulti. Durante lo stage, affiancata sempre dagli educatori della struttura e sotto l'attenta guida della psicologa referente, ho mosso i primi passi per cercare un contatto con loro. Oggi come durante la mia prima esperienza con i minori con sindrome mi sono posta in ascolto e ho accettato la sfida... una sfida educativa. Quella di capire cosa gli adulti con sindrome vogliono comunicarci, siano essi verbali o non verbali. Un messaggio ce lo inviano sempre… non sempre con le modalità considerate classiche come la parola e talvolta tendono anche ad adattare atteggiamenti aggressivi, ma un messaggio ci viene sempre inviato.
Diversi sono stati i momenti in cui ho potuto inteargire singolarmente con ognuno di loro, pur nel rispetto dei loro spazi e tempi e ognuno di loro mi mandava un messaggio in modo diverso: chi mormorando la melodia di canzoni lirica, chi dedicando canzoni per far capire il legame affettivo con l'educatrice di riferimento. Altri manifestando le loro emozioni ridendo, o giocando in palestra o facendosi rincorrrere durante le passeggiate in giardino o chi, invece, in un momento di rabbia o di preoccupazione perchè altri provavano ad aggredire un educatore sbattevano i pugni contro la porta o si picchiavano in testa.
Dal punto di vista pratico ho potuto osservare lo svolgimento di alcune attività di terapia cognitiva con esperienze che spaziavano tra:
•    acquisizione della C.A.A. (Comunicazione Aumentativa Alternativa) per i ragazzi con autismo;
•    utilizzo del PC;
•    esercizi cognitivi per la capacità di concentrazione e la comprensione di compiti semplici;
•    attività di ippoterapia e onoterapia;
•    trekking;
•    cineforum;
•    uscite sul territorio.
L'aspetto che più mi ha colpito è stata la semplicità da un lato dei materiali che sono stati utilizzati e il creasi di un contesto caratterizzato da tranquillità e attività scansionate nell'arco della giornata. In tal senso un aiuto importante viene dato dall'uso delle agende visive che aiutano i ragazzi con sindrome ad organizzare la propria giornata e a sapere cosa si andrà a fare senza il timore di cosa viene dopo.
Potrei andare avanti ancora nel descrivere la mia esperienza ma al di la delle singolarità delle situazioni penso che la condizione fondamentale, o meglio l'atteggiamento fondamentale per noi educatori sia quello di mettersi in ascolto e cercare di capire i segnali che questi ragazzi vogliono comunicarci del loro mondo…
Per noi potranno sembrare cose semplici o a volte dettagli inutili o trascurabili ma cosi non è. Se vero è che dal dettaglio si fa il tutto allora osserviamo e ascoltiamo i messaggi che questi ragazzi ci inviano... forse può essere una strada per entrare in contatto con loro e poterli aiutare nel loro percorso di crescita... Buon ascolto a tutti!!!
Dott.ssa Sabrina Dore
Pedagogista laureata in Scienze dell'Educazione Vecchio Ordinamento, Educatore Professionale socio-pedagogico, Pedagogista clinica
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